“Cosa c’entra Carlo Levi con il generale catalano José Borges? Qualcuno penserà all’unico riferimento diretto allo spagnolo che Levi fa nel “Cristo”, laddove – descrivendo la valle del Sauro – scrive: «Dopo Stigliano si scende alla valle del Sauro, con il suo grande letto di sassi bianchi, e il bell’uliveto del principe colonna nell’isola dove un battaglione di bersaglieri fu sterminato dai briganti di Boryes che marciavano su Potenza». Lo scontro indicato è in effetti quello dai più conosciuto come battaglia dell’Acinella, avvenuto il 1° novembre del 1861.
Ma vi è di più, molto di più, e quello che c’è sta a dimostrare tanto il rigore narrativo di Levi, quanto la veridicità degli scritti dello spagnolo: è il passo nel quale parla del “barone di Collefusco”, pseudonimo sotto il quale Levi ha celato don Luigi Materi di Grassano, originario di Cosenza, la cui famiglia, approfittando come tanti (per ironia della sorte) dell’eversione della feudalità dal 1806 prima e dall’acquisto/usurpazione dei beni ex feudali, ecclesiastici e demaniali poi, arrivò ad essere una delle maggiori famiglie latifondiste del materano e dintorni. Il passo merita di essere riletto, anche per le molte riflessioni che provoca «Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mia. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel ’60, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano». Mi si obietterà: «d’accordo, Levi coglie nel segno del fenomeno dei tanti manutengoli che fomentarono e sfruttarono a loro tornaconto il ribellismo contadino, ma con Borges che “c’azzecca”? E , invece, a leggere il diario di Borges, c’entra eccome! Lo spagnolo, mentre, provato e sconfitto, puntava su Napoli: è il 18 ottobre 1861, «mi metto in marcia- scrive Borges – senza guida, come ieri, per seguire, benché a tentoni, la direzione di Napoli». Nel bosco di Lagopesole entra proprio in contatto con il brigante Serravalle che gli dà notizia della presenza in zona di una formazione consistente di rivoltosi («alcuni nostri soldati giungono e mi dicono che a 8 miglia da qui si trovano mille uomini agli ordini di Carmine Donatello, antico caporale». A collegare don Luigi Materi con Borges non è un riscontro diretto nei diari, ma un appunto contenuto nella prima pagina del secondo taccuino di Borges: proprio il nome del latifondista, appuntato frettolosamente. Eccolo dunque il collegamento; ecco il riscontro dell’esattezza del racconto di Levi! Quando si dice l’eterogeneità delle fonti …”
Questo scrive l’amico Valentino Romano su Facebook che notoriamente ha quasi schiantato la forma blog nella comunicazione on line. Io stesso, come si può vedere, uso raramente il blog. In occasione della fine dell’anno voglio lasciare qui una traccia di vita.
Commento così: “Caro Valentino, questo tuo post va a toccare il mio cuore di meridionale a Torino. Altrove ti scrissi di Giustino Fortunato (a tal proposito Valentino Romano chiosa: Su don Giustino, che dire? Grande intellettuale meridionalista, sono d’accordo. con un solo difetto riguardo all’analisi delle cause profonde del brigantaggio: le collusioni della sua famiglia nelle vicende del ribellismo lucano! “) e Gaetano Salvemini, due ‘don’ delle allora avare nostre contrade. Ora mi citi Carlo Levi e il suo meraviglioso libro meridionalista, io continuo con il suo allievo Rocco Scotellaro e il suo ‘L’uva Puttanella / Contadini del sud’.
Entrambe le opere sono per me libri di formazione. Confermo che la mia educazione sentimentale e storica di italiano di origini meridionali è basata sui tre nomi citati a cui posso aggiungere senza ombra di dubbio le opere di Ignazio Silone, Fontamara in primis.
La letteratura neoborbonica mi interessa molto meno perché la considero erroneamente revanchista. Certo i testi di storia e di letteratura vanno tutti considerati per farsi un quadro storico completo, ma io ritengo che il libro di Scotellaro da solo testimonia le sofferenze della nostra patria del sud est.
Levi è stato un grande elemento di giustizia da parte di un uomo del nord verso la nostra amata e negletta terra. Concludo dicendo che ovviamente il mio giudizio è condizionato dal mio essere un sabaudo del trullo (qualifica attribuitami da un caro amico piemontese).”
Naturalmente il discorso rimane aperto…
L’ha ribloggato su Lo smemorato di Collegnoe ha commentato:
Esperienze di meridionalismo.