Santissina Trinità


Trinità Nella teologia cattolica, mistero riguardante l’intima costituzione di Dio; enunciato con la frase «un Dio unico in tre persone»: afferma un’unica natura o essenza della divinità, la quale sussiste in tre persone divine, ossia Padre, Figlio (generato dal Padre) e Spirito Santo (che procede dalle altre due persone come da un unico principio); a tutte e tre le persone, ben distinte, competono allo stesso modo tutti gli attributi divini essenziali.

Foto Cenzo Intermite

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Purtroppo la Storia non la ricorda nessuno…


Con il rispetto non ipocrita che si deve a Taranto e al territorio pugliese nel raggio di almeno cinquanta chilometri dal centro del siderurgico tarantino, il punto di vista del Giudice che ieri si è espresso non basta. Occorre il punto di vista dello storico. Nessuno ricorda le responsabilità di chi ha scelto di raddoppiare lo stabilimento siderurgico negli anni ottanta, facendo raddoppiare contemporaneamente il quartiere Tamburi a ridosso della fabbrica. Nessuno ricorda la presenza mafiosa in città per fare digerire l’inquinamento ai cittadini in cambio di un posto di lavoro nell’enorme e, spesso inutile, indotto del grande mostro. Nessuno ricorda la scelta scellerata dei governi democristiani che nei “meravigliosi” anni sessanta decisero di installare a Taranto e a Brindisi industrie massimamente inquinanti con la scusa dei porti sul Mediterraneo. Centinaia se non migliaia di ettari di florido uliveto furono sacrificati a Ginosa e dintorni, nella piana del golfo di Taranto che, qualche millennio fa, fece innamorare i greci che vi fondarono Taras. Infine, tornando a tempi vicini nessuno ricorda quel ch’è successo nel 2012 quando di fatto l’impresa fu statalizzata nel mezzo della guerra continua fra politica e magistratura e, il sindacato ossessionato dal voler conservare la piena occupazione, di fronte ad un inquinamento che ha mietuto centinaia se non migliaia di vittime e che farà future vittime. Ecco perché la giustizia è stata forse giusta, ma certamente antistorica.

“Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità – ha detto Nichi Vendola dopo la sentenza -. E’ come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”.

Personalmente resto profondamente colpito nel mio credo politico, Sinistra, Ecologia e Libertà si chiamava il Partito a cui ho creduto. La trasformazione economica operata dal Presidente Vendola della Regione Puglia, da ancora oggi buoni frutti. Non posso credere che la seconda parola dell’insegna: “Ecologia” sia stata così clamorosamente tradita da Nichi. Sicuramente, in appello, sarà dimostrato l’errore di questa sentenza nei confronti della politica di Vendola. La famiglia Riva intanto sembra pagare per tutti compresi i manager di Stato Italsider che a suo tempo hanno posto le basi per la distruzione di un vasto territorio.

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L’olio del Paese nostro


Saltate gli ultimi steps della filiera commerciale, comprate all’origine. Sarete soddisfatti e avrete aiutato il made in Italy.

Ricordiamo che per fare l’olio occorre avere a disposizione un pezzo di terra, se non ci sono alberi di ulivo occorre comprare degli ulivi, piantarli e aspettare diversi anni perché diano frutti. Naturalmente occorre comprare un trattore e degli attrezzi. Serve concimare le piante tutti gli anni. Bisogna potare gli ulivi e saperlo fare ad arte quando serve. Vanno raccolte le frasche secche, liberate le piante dagli insetti nocivi, occorre pulire il terreno un paio di volte l’anno. Bisogna sperare che non geli e non grandini. Raccogliere le olive tutti gli anni anche se non gli alberi “caricano”. Poi si portano le olive al frantoio per la molitura.

Le olive, dopo essere state raccolte, entrano nel frantoio all’interno di grandi casse forate alimentari. Dopo essere passate attraverso una macchina che le pulisce dai residui di foglie e rami, passano poi alla frangitura, dove vengono delicatamente frantumate, in modo da ottenere la così detta pasta. La pasta viene quindi trasferita alla gramola, un contenitore orizzontale che, rimescolandola lentamente, determina una prima separazione dell’olio dal resto. Al termine della gramolazione, la pasta viene grossolanamente separata nei vari componenti: sansa, acque di vegetazione e, ovviamente, olio. La sansa, che è la parte solida, viene quindi nuovamente separata dai nocciolini, che, frantumati durante le operazioni di frangitura, sono utilizzati come combustibili alternativi per le stufe a pellet. Parallelamente anche la sansa denocciolata è riusata per fornire energia. L’acqua di vegetazione viene usata come fertilizzante sui terreni agricoli. L’olio, così prodotto, viene conservato dentro grandi cilindri d’acciaio, allocati in luoghi freschi e asciutti. In attesa dell’ultima fase del processo, ovvero la sua filtrazione e, infine, l’imbottigliamento. Questo è ciò che mia cugina ha imparato dal suo consorte, titolare del Frantoio Vinci.

Quando si parla di filiera corta e di controllo dell’origine, il consumatore deve tener conto di quanto lavoro comporta la produzione dell’olio e premiare i coltivatori di oliveti e i “trappeti” che trasformano le olive in olio, saltando i commercianti. Il nostro Paese, Ceglie Messapica ha una tradizione secolare nella produzione di Olio. Il terreno carsico e le sue grotte naturali furono sfruttati dai nostri avi per impiantare i “trappeti” direttamente all’interno del territorio cittadino, per l’orrore degli ambientalisti le cavità venivano anche usate per smaltire le acque di vegetazione. Ovvio che i moderni frantoi debbano fruire dei macchinari moderni per affinare la produzione.

Devo qui ricordare che, il nonno mio e di Maria Teresa Tagliente di cui porto il nome Giacomo, mio padre Felice e lo zio Giuseppe Agosto negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso lavorarono presso l’Opificio Marraffa di Ceglie Messapica dove la Sansa di olive veniva lavorata a mezzo di solventi chimici per l’estrazione dell’olio residuo e la fabbricazione di sapone.

Ringrazio Maria Teresa per la collaborazione nella stesura del post.

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Caro virus ti scrivo


Durante la prima domenica di avvento, risulta facile ricordare la famosissima canzone di Lucio Dalla indirizzata a un amico che siamo poi noi tutti, le feste di fine anno sono alle porte e rileggere queste parole non ci farà male. Questa canzone che è anche una poesia, che ci ricorda in questo tempo imperfetto e lento, che potremmo prendere carta e penna e scrivere una lettera a qualcuno con cui il dialogo è sospeso oppure a qualcuno a cui vogliamo far arrivare una nostra carezza pur nella distanza.

Caro amico ti scrivo
Così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano
Più forte ti scriverò
Da quando sei partito
C’è una grossa novità
L’anno vecchio è finito ormai
Ma qualcosa ancora qui non va
Si esce poco la sera
Compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire del tempo ne rimane
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando
Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno
Ogni Cristo scenderà dalla croce
E anche gli uccelli faranno ritorno
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno
Anche i muti potranno parlare
Mentre i sordi già lo fanno
E si farà l’amore ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppi furbi
E i cretini di ogni età
Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
E come sono contento di essere qui in questo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro amico cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare
E se quest’anno poi passasse in un istante
Vedi amico mio come diventa importante
Che in questo istante ci sia anch’io
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
Io mi sto preparando
È questa la novità

Ma Lucio Dalla non avrebbe mai immaginato che l’amico Gianmario Ligas avrebbe rivisitato il testo in occasione della pandemia Covid19 come segue.

Caro virus ti scrivo
Così mi distruggo un po’
E siccome sei molto vicino
Più forte ti scriverò
Da quando sei arrivato
C’è una grossa novità
La vita vecchia è finita ormai
E quella nuova ancora qui non va
Si esce poco di giorno
Compreso quando è festa
E c’è chi ha messo delle mascherine calate sulla testa
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire le voci sono già lontane
Ma la televisione ha detto che la primavera
Porterà meno rianimazione
E tutti quanti stiamo già aspettando
Lasceremo i cani a casa e gireremo tutto il giorno
Andare al bar non sarà una croce
Anche al cinema faremo ritorno
Ci sarà da mangiare e vaccini tutto l’anno
Anche in Iran potranno guarire
Mentre in Cina già lo fanno
E ci si abbraccerà ognuno come gli va
Anche i medici potranno riposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualche politico sparirà
Saranno forse i troppi furbi
ma Mattarella resterà
Vedi caro virus cosa ti scrivo e ti dico
E come sono contento di aspettare quel bellissimo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro virus cosa si deve inventare
Per poterti esorcizzare
Per continuare a sperare
E se quest’ansia poi passasse in un istante
Vedi amico mio come diventa importante
Che questo istante veda anch’io
L’angoscia che stiamo vivendo tra un anno passerà
E io sto resistendo…
È questa la novità[1]


[1] Tratto da Nord Ovest n. 4 – dal Rosa al Turchino – rivista periodica de Unione Pensionati Unicredit – Gruppo Piemonte e Valle D’Aosta. La canzone eseguita dalla Sangon Blues Band è reperibile sul canale Youtube “Gianmarlig1

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Tra negazionismo e realtà


Tra marzo e agosto ho avuto il dispiacere di provare di persona cosa significhi avere la Covid19. e in forma grave come ho detto più volte.

A chi afferma: “Si tratta solo di un’influenza solo un po’ più forte di quella comune” faccio notare che sarebbe come se qualcuno gli desse una sberla, anticipando ogni sua reazione dicendogli che: “Si è trattato solo di una carezza solo un po’ più forte di quella comune”. Due anni fa ho avuto la “classica” influenza e vi garantisco che si tratta di due malesseri nettamente distinti.

La SARS-CoV-2 rappresenta “un nuovo ceppo di coronavirus, mai identificato prima nell’uomo”. Questo significa che, pur appartenendo al ceppo che causa l’influenza, la SARS-CoV-2 è qualcosa che abbiamo cominciato a conoscere, scienziati compresi, da pochissimo tempo. Qualcosa che, almeno in parte, appartiene ancora a un mondo ignoto.

Coloro che fanno il conteggio dei morti per Covid19, paragonandolo al numero di persone morte per altre cause, non hanno capito il dato fondamentale, che rende questa pandemia qualcosa di gravissimo. La SARS-CoV-2 si diffonde in modo massivo, veloce e incontrollabile, a meno che non si prendano misure di sicurezza che ormai tutti conosciamo ma che molti imbecilli non hanno rispettato né rispettano.

Questa caratteristica del SARS-CoV-2 ha creato e creerà ancora disastri enormi nel mondo del lavoro e nell’economia di ogni nazione colpita dal virus.

Chi, garrulo e strafottente, si lancia in tonte affermazioni contro le regole anti-Covid19, esibisce in realtà una potenziale volontà di morte: delle persone, del Paese e di quelle che dovrebbero essere le basi del vivere civile.

E, per quanto dimostri stupidità e ignoranza, va preso molto sul serio e considerato un pericolo grave.

Anche nella mia adorata terra d’origine il Covid19 colpisce duramente. Ottanta persone ricoverate nell’ospedale Perrino di Brindisi. Resta stabile il numero dei ricoverati nel nosocomio brindisino,  vi sono 19 persone ricoverate nel reparto di Malattie Infettive su una disponibilità di 20 posti letto, 23 persone nel reparto di Pneumologia a fronte di una disponibilità di 28 posti letto, 26 persone nel reparto di Medicina Interna a fronte di una disponibilità di 30 posti letto e 12 persone del reparto di Terapia Intensiva per una disponibilità di 16 posti letto nel modulo esterno che all’occorrenza possono diventare 26. Come si può notare tutte cifre al limite della capienza. Per completare i dati ad oggi, nell’ospedale di Ostuni sono ricoverati 19 pazienti in Medicina Interna Nel reparto post Covid19 di Mesagne vi sono 15 pazienti mentre in quello di Ceglie Messapica 7.[1]


[1] http://www.brindisioggi.it/sono-80-i-ricoverati-per-covid-al-perrino-un-uomo-di-57-anni-e-arrivato-in-eliambulanza/

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muri a secco tutelati e deturpati


Ceglie Messapica: ancora muri a secco distrutti e strade abusive in campagna

A distanza di pochi giorni da analogo intervento, e nella stessa zona rurale, i carabinieri Forestali della Stazione di Ceglie Messapica sono intervenuti, in contrada Palagogna nell’ agro della cittadina collinare, a porre sotto sequestro preventivo, di iniziativa, quattro segmenti di strade poderali, realizzati nella stessa proprietà, utilizzando per la massicciata il materiale lapideo riveniente dalla distruzione di muretti a secco circostanti, con frantumazione della pietra ottenuta con mezzi d’ opera dell’azienda.

Anche in questo caso, infatti, si tratta di un’azienda agricola, ricadente in zona tutelata “Paesaggi rurali” dal vincolo paesaggistico, per cui i lavori sono stati realizzati senza alcun titolo edilizio, e tanto meno di autorizzazione prevista dal “Codice dei Beni culturali e del paesaggio” e dal Piano Paesaggistico Territoriale Regionale. A questa zona di rilevante valore, dunque, sono stati, con i lavori abusivi, apportate rilevanti trasformazioni.

Come si vede, la sensibilità per la salvaguardia del territorio ed il vincolo paesaggistico sono sotto scacco per meri interessi di tipo privato, si spera che la tutela da parte delle forze dell’ordine sia sempre vigile come in questo caso.

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Un Trullo


Tantissimi anni addietro, ho comprato un Trullo nella campagna di Ceglie Messapica. Sono circondata da alberi bellissimi, da macchia mediterranea, orchidee spontanee, fiori e tante buone verdure, tutto questo regalo della terra rossa Pugliese.
Tornamo dereto de morte lune, a quanno er contadino ha giràto er terreno ha trovàto sta granne pietra. Decidemmo de mette sto trono pe chi s’accomida seduto gni mattina pole vedè er miracolo der creato… “l’arba”, la vita che torna!
Ieri inzieme a Cencia, avemo pulito er trono, ricoperto da tantissimi aghi di pino.
-Anvedi Cè… che meravija! Pulito ha scoperto un piccolo alberello di Fico.
Che dichi mo lo lassamo o lo piantamo drento er terreno?
-Lassamolo lì drento, puro se resta piccolo, l’inverno è protetto dal vento e dar gelo, eppoi er grosso pino che je fa da ombello, je mette la sua coperta de aghi.
-Vabbé Cè, m’hai convinto! Chissà se er seme l’ha messo ‘n ucelletto o ‘na folata de vento. Mo je famo ‘na fotografia e dimani ce scrivemo ‘n poste pe l’amichi.
Iernotte nun pijavamo sonno semo annate su Faccebbucche a vedè quarche fotografia e quanno c’è capitato er trono doppia meravija avemo visto la pianticella che stava sotto ‘na Croce incisa chissà da chi. Oggi piove ma domani torniamo al Trono e ci mettiamo delle piccole pianticelle per fare ‘n giardino.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto e natura

Amo tantissimo questa terra. Da tanto che scrivo della sua bellezza. Forse non tutti sanno che che fortuna che hanno. Ogni mattina quando cammino per la campagna sento odori che mi ricordano la mia infanzia. Abbiamo radici profonde non dimentichiamo e difendiamo il solo pianeta che abbiamo.

Franca Bassi

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Un ricordo di Gennaro Conte


“Lo rivedo ancora, come in un flash back, agitarsi sul palco, tra la sua bandiera rossa e i compagni di fede per incitare alla lotta, alla ricerca di un tozzo di pane e un po’ di lavoro.”
Vera Conte

Ringrazio Luisa Bellanova per avermi permesso di tornare con i miei ricordi cegliesi alla memoria di Gennaro Conte con le stesse immagini mnemoniche della figlia Vera.

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Errare, circolare insieme: DUE DOMENICHE IN FAMIGLIA


in tutti i sensi del bosco

Ricevo e volentieri pubblico il seguente COMUNICATO STAMPA:

Arrivata la primavera, La Luna offre i sensazionali viaggi sensoriali per le famiglie, in due domeniche da passare insieme con esperimenti alchemici, pranzi da Sud Italia, piccole scoperte, grandi passi, incanti ed esplorazioni, storie da vivere con tutti i sensi e in tutti i sensi … dando fuoco all’inverno.

IN TUTTI I SENSI NEL BOSCO: Domenica 7 Aprile– dalle ore 10,30 alle ore 17,00
La Luna nel Pozzo – Contrada Foragno sn, Ostuni.
Ingresso su prenotazione: adulti 15€ e bambini 10€
Info 0831 330353 – 335 8037241

PROGRAMMA DELLA GIORNATA (in caso di maltempo le attività si terranno all’interno) Laboratori in:

Natura: seminiamo la primavera

Teatro: giochi sensoriali

Costruzione: tante piccole casette per gli uccellini, una grande casa per i pipistrelli.

Pranzo Pic Nic sotto gli ulivi con piatti domenicali del Sud Italia per piccoli e grandi. Spettacolo Teatrale:  SARO’ IO I TUOI OCCHI liberamente tratto dal racconto di
Oscar Wild “Il principe felice” con Natascia Fogu e Alessandro Lucci

Il pubblico ad occhi bendati vivrà la storia della rondinella e della statua del Principe felice. Percepirà il vento dell’estate.  Coglierà il profumo dello sfiorire. Ascolterà la città frenetica che si spegne sotto la neve. Con nuovi sensi conoscerà l’amore che muove le creature di questa storia.

Gioco Finale Inaugurazione del percorso sensoriale nel bosco della Luna con nuove installazioni e giochi.

Info e prenotazioni: tel. 0831 330353 335 8037241 teatro.lunanelpozzo@gmail.com

www.la-luna-nel-pozzo.com
http://www.facebook.com/lunapozzo

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origini unitarie a fine anno


“Cosa c’entra Carlo Levi con il generale catalano José Borges? Qualcuno penserà all’unico riferimento diretto allo spagnolo che Levi fa nel “Cristo”, laddove – descrivendo la valle del Sauro – scrive: «Dopo Stigliano si scende alla valle del Sauro, con il suo grande letto di sassi bianchi, e il bell’uliveto del principe colonna nell’isola dove un battaglione di bersaglieri fu sterminato dai briganti di Boryes che marciavano su Potenza». Lo scontro indicato è in effetti quello dai più conosciuto come battaglia dell’Acinella, avvenuto il 1° novembre del 1861.
Ma vi è di più, molto di più, e quello che c’è sta a dimostrare tanto il rigore narrativo di Levi, quanto la veridicità degli scritti dello spagnolo: è il passo nel quale parla del “barone di Collefusco”, pseudonimo sotto il quale Levi ha celato don Luigi Materi di Grassano, originario di Cosenza, la cui famiglia, approfittando come tanti (per ironia della sorte) dell’eversione della feudalità dal 1806 prima e dall’acquisto/usurpazione dei beni ex feudali, ecclesiastici e demaniali poi, arrivò ad essere una delle maggiori famiglie latifondiste del materano e dintorni. Il passo merita di essere riletto, anche per le molte riflessioni che provoca «Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mia. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel ’60, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano». Mi si obietterà: «d’accordo, Levi coglie nel segno del fenomeno dei tanti manutengoli che fomentarono e sfruttarono a loro tornaconto il ribellismo contadino, ma con Borges che “c’azzecca”? E , invece, a leggere il diario di Borges, c’entra eccome! Lo spagnolo, mentre, provato e sconfitto, puntava su Napoli: è il 18 ottobre 1861, «mi metto in marcia- scrive Borges – senza guida, come ieri, per seguire, benché a tentoni, la direzione di Napoli». Nel bosco di Lagopesole entra proprio in contatto con il brigante Serravalle che gli dà notizia della presenza in zona di una formazione consistente di rivoltosi («alcuni nostri soldati giungono e mi dicono che a 8 miglia da qui si trovano mille uomini agli ordini di Carmine Donatello, antico caporale». A collegare don Luigi Materi con Borges non è un riscontro diretto nei diari, ma un appunto contenuto nella prima pagina del secondo taccuino di Borges: proprio il nome del latifondista, appuntato frettolosamente. Eccolo dunque il collegamento; ecco il riscontro dell’esattezza del racconto di Levi! Quando si dice l’eterogeneità delle fonti …”

Questo scrive l’amico Valentino Romano su Facebook che notoriamente ha quasi schiantato la forma blog nella comunicazione on line. Io stesso, come si può vedere, uso raramente il blog. In occasione della fine dell’anno voglio lasciare qui una traccia di vita.

Commento così: “Caro Valentino, questo tuo post va a toccare il mio cuore di meridionale a Torino. Altrove ti scrissi di Giustino Fortunato (a tal proposito Valentino Romano chiosa: Su don Giustino, che dire? Grande intellettuale meridionalista, sono d’accordo. con un solo difetto riguardo all’analisi delle cause profonde del brigantaggio: le collusioni della sua famiglia nelle vicende del ribellismo lucano! “) e Gaetano Salvemini, due ‘don’ delle allora avare nostre contrade. Ora mi citi Carlo Levi e il suo meraviglioso libro meridionalista, io continuo con il suo allievo Rocco Scotellaro e il suo ‘L’uva Puttanella / Contadini del sud’.

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Entrambe le opere sono per me libri di formazione. Confermo che la mia educazione sentimentale e storica di italiano di origini meridionali è basata sui tre nomi citati a cui posso aggiungere senza ombra di dubbio le opere di Ignazio Silone, Fontamara in primis.

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La letteratura neoborbonica mi interessa molto meno perché la considero erroneamente revanchista. Certo i testi di storia e di letteratura vanno tutti considerati per farsi un quadro storico completo, ma io ritengo che il libro di Scotellaro da solo testimonia le sofferenze della nostra patria del sud est.

c.levi

Levi è stato un grande elemento di giustizia da parte di un uomo del nord verso la nostra amata e negletta terra. Concludo dicendo che ovviamente il mio giudizio è condizionato dal mio essere un sabaudo del trullo (qualifica attribuitami da un caro amico piemontese).”

Naturalmente il discorso rimane aperto…

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Messapia a Ceglie


Strano che i Messapi abbiano scelto un ‘buco’ orografico per il loro insediamento. A meno che Kaeilinon (Ceglie Messapica) non fosse veramente molto estesa.

Quando a fine anni sessanta mio padre contribuì a far giungere nelle case cegliesi l’acqua potabile, ci furono delle acchiature anche a quote più alte. Sarebbe bello trovare qualcosa in suolo pubblico per farne un’area archeologica visitabile.

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

(foto Pino Santoro)

***

Riassunto delle puntate precedenti:

Ceglie Messapica, Centro di Documentazione Archeologica

Ceglie Messapica ha origini antichissime: le prime tracce di frequentazione umana nel suo territorio risalgono al paleolitico (inferiore-medio). A partire dal IX secolo l’arrivo delle popolazioni messapiche (probabilmente dall’Illiria) determinò lo sviluppo di un importante insediamento. Combattè in una coalizione di città italiche contro Taranto ed altri centri magnogreci per la propria indipendenza politica; nonostante ciò la Grecia e la sua cultura, come testimoniano i ritrovamenti archeologici, ebbe su Ceglie Messapica un grande influsso. I resti delle possenti mura di difesa messapiche sono tuttora visibili nelle campagne (i paretoni), ma è soprattutto il patrimonio archeologico di vasi ed epigrafi, derivante da corredi funebri, a sorprendere per la sua ricchezza; è possibile visitarlo presso il locale Centro di Documentazione Archeologica in via Enrico De Nicola. In questo video ne proponiamo le immagini.

Buona Visione.

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Novantesimo per San Michele Salentino


I miei bisnonni paterni, cegliesi, erano enfiteuti di un piccolo appezzamento in contrada Cutugn di Massarianova (San Michele Salentino). Insieme costruirono un trullo in cui ho passato periodi della mia prima infanzia. Ecco il motivo che mi spinge a riportare di seguito il ricordo di Edmondo Bellanova.

NOVANTESIMO

Novanta anni fa, la notizia arrivò una mattina d’autunno e trovò la piazza antistante “lì curt”, all’epoca non più di un’aia in breccia polverosa, popolata da polli e galline razzolanti e croccolanti; cani smagriti alla vana ricerca di cibo; gatti, sazi di topi, sdraiati a crogiolarsi al sole.

Ma da quella mattina del 25 ottobre 1928 cambiava la vita per tutti i 4.108 abitanti di San Michele, frazione del comune di San Vito dei Normanni, che per decenni avevano sperato e lottato per l’autonomia.

Finalmente l’impegno dei vari: don Donato Spina, Ettore TAGLIAFERRO, Pietro Rocco SANTORO, don Pietro GALETTA, Giuseppe CIRACI, don Vito Maria ARGENTIERI, Francesco APORTONE, aveva avuto successo, e da quel momento “Masserianova” cessava d’esistere e i sanmichelani diventavano padroni del proprio futuro.

L’agognato distacco da San Vito era ottenuto; San Michele Salentino è comune autonomo e con decreto del 13 marzo 1929 può far uso di stemma e gonfalone propri. Dice il decreto:

Al Comune di San Michele Salentino è concesso di far uso di uno stemma e di un gonfalone; lo stemma sarà il seguente: Interzato in fascia, nel primo d’azzurro, alla stella d’argento; nel secondo scaccato di due file d’argento e di rosso; nel terzo mareggia d’azzurro e d’argento al delfino notante del secondo.

La separazione (“esclusione” era il grido lotta dei protestanti) dal Comune di San Vito dei Normanni non è stata pacifica e consensuale; ha avuto momenti di pericolosi e tragici eventi, vere sommosse popolari a stento controllate dalle regie milizie. Erano stati gli anni (1912-1916) delle proteste, come già annotato nel verbale della visita pastorale del 1877-1878 di Mons. Luigi Maria AQUILLAR: “di un popolo che si allarga alla giornata”.

Tutto era cominciato il 04 agosto 1839 con il primo atto di concessione in enfiteusi dei terreni della masseria San Michele e, quindi, il prossimo appuntamento potrebbe essere il 2039, per festeggiare il bicentenario della nascita Francesco Dentice di Frasso principe di San Vito dei Normanni e Crucoli, volle rivitalizzare le sue proprietà con l’utilizzo di questo strumento già largamente usato in gran parte d’Italia.

Già! Oggi l’enfiteusi è motivo di preoccupazione per le esose ed ingiuste pretese degli attuali possessori del diritto reale a percepire un canone, ma sarebbe storicamente accertato che proprio a questa forma di concessione in uso dei terreni si deve la nascita del comune di San Michele Salentino.

I terreni della masseria, sino al luglio 1840 in fitto a Francesco Paolo ARGENTIERI, cegliese, padre del Sac. Vito Maria di cui dirò dopo (abitava nella bella casa di piazza Marconi 10), erano concessi con una modesta entratura e basso canone a gente che aveva sempre lavorato, da giorno a notte, per il padrone, il massaro, il barone, il conte, il principe, ricavando appena da mangiare per sopravvivere. Ora erano chiamati ad un lavoro anche più duro e a grandi sacrifici per trasformare l’incolto, le boscaglie di lecci e macchie, in fondi spietrati e disboscati, ricchi di uliveti, vigneti, mandorleti e ficheti, ma per loro si apriva la possibilità di guadagnare qualcosa in proprio, di progredire, di possedere una casa.  Cominciarono a nascere pagghiarë casedde, muri a secco e trulli, opere d’ingegneria spontanea che oggi sono il nostro orgoglio: belli e assolutamente compatibili con il paesaggio.

In tanti vennero dai comuni vicini per avere una nuova prospettiva di vita e già nel 1876 si contavano 1000 abitanti. La frazione cresceva e crescevano le necessità del suo popolo che e giustamente pretendeva i servizi necessari e cominciarono le rivendicazioni, le proteste, le richieste nei confronti del comune capoluogo di San Vito dei Normanni.

I frazionisti-separatisti chiedevano: Illuminazione pubblica, pulizia e igiene, assistenza medica e farmaceutica, ordine pubblico, istruzione, strade, chiese, uffici comunali. Tutte cose che piano, piano si sono poi raggiunte, sempre con enormi difficoltà.

Di quel cammino, riporto qui alcuni fatti, eventi e curiosità che riprendo integralmente dal volume “San Michele Salentino tra storia e tradizione” del prof. don Antonio CHIONNA e del prof. Vincenzo PALMISANO e da Marco MARRAFFA dal suo testo “Le origini e l’evoluzione di San Michele Salentino”.

-La prima registrazione di nascita avvenuta in “pago Sancti Michaelis” il 18.12.1845 è quella di ARGENTIERI Antonio Lorenzo Salvatore, figlio di Domenico che contende il primato ad ARGENTIERI Rocco figlio Giuseppe Maria la cui nascita è registrata il 03.giugno.1845

– la chiesa grande di San Michele Arcangelo è costruita nel 1876 su suolo di proprietà di Ernesto Dentice di Frasso con l’autotassazione dei cittadini; è solennemente inaugurata il 12.02.1882, diviene parrocchia il 03.03.1901 con l’impegno e le donazioni dei sanmichelani e in particolare di Ettore TAGLIAFERRO, nobile napoletano proprietario della vicina masseria Palagogna, instancabile e fattivo artefice dell’autonomia. Nei confronti dei parrocchiani donanti per la costituzione della congrua, la chiesa assunse l’onere di adempiere ad obbligazioni (messe, anniversari e funerali) non sempre onorate.

Primo parroco è nominato, il 03.03.1901, don Pietro Nicola GALETTA (Papa Pietro), poi sostituito, la domenica del 20 ottobre 1907 con modalità tragicomiche dal compaesano don Vito Maria ARGENTIERI (papa Vitë), (figlio dell’ultimo fittavolo della Masseria San Michele); Cappellano della Chiesetta del Principe con enormi sacrifici con l’aiuto del podestà Angelo CERVELLERA e Giovanni  SAPONARO (dal 1936 al 1947) realizzò la costruzione della nuova chiesa grande di San Michele Arcangelo che dal 20.04.1960 otterrà il riconoscimento di Parrocchia

-Antonio EPIFANI fu Giuseppe (al 1851) è il primo sacrestano“senza onorario” della chiesetta del principe voluta da Maria  Francesca Caracciolo ed edificata da Francesco DENTICE nello spazio antistante Li curt

-il cimitero, sorto su suoli della famiglia “Maselatelë”, è ufficialmente inaugurato nel 1902; il progetto risaliva al 1876.

-il primo organista della chiesa dal 1907 è Michele GALETTA che si obbligava: a suonare gratuitamente l’organo in tutte le funzioni ordinarie della parrocchia

– le principali strade di comunicazione con i comuni vicini iniziano ad essere costruite dal 1870 e seguirono il tracciato dei quattro stradoni indicati nel piano enfiteutico del 1834;

– già nel 1876 c’è una scuola con due insegnati: don Vincenzo ANTELMI da Ostuni e Carlotta TURI; nel 1904 in una stanza di 24 mq. c’erano 34 iscritti, mentre nel 1914 all’insegnante Adele FRANZESE era assegnata una seconda classe con 46 alunni;

– il servizio di raccolta liquami inizia nel 1904; ma solo dal settembre 1924 l’appalto è affidato al sanmichelano Vincenzo NACCI; nel contratto si legge: Allo stesso appaltatore incombe l’onere di raccogliere in apposito carrobotte tirato da mulo o cavallo tutte le acque e le feci che saranno dai privati direttamente in esso riversate. Del passaggio di tale carrobotte saranno dati ripetuti avvisi con squillo di tromba.

-MICCOLI Rosa di Francesco di anni 17 è il primo decesso registrato in san Michele il 16.07.1841

-Il primo custode-becchino al Cimitero è CAVALIERE Giacinto nominato il 05.10.1880

-ELIA Isabella, cegliese, è la prima centenaria (103 anni) deceduta in San Michele nel 1891

-il CALVARIO è costruito verso la fine degli anni ’20-accanto alla chiesa della Madonna di Pompei. Recentemente è stato spostato e reso ancora più artisticamente importante con opere dello scultore Cosimo GIULIANO da Latiano

-primo medico condotto dal 1899 è il dott. Ettore NARDELLI, mentre già dal 1892 al dott. Michele DE LEONARDIS era affidato l’armadio farmaceutico (una prima farmacia effettiva fu autorizzata solo nel 1924);

-Primo maestro muratore a trasferirsi a San Michele nel 1846 è CAPPELLI Giuseppe da San Pancrazio, mentre il cegliese GIOIA Francesco già nel 1845 aveva costruito  case nel recinto delle curt

-TOMASIELLO Giuseppe Tommaso, taglialegna è la prima vittima sul lavoro. Muore a 40 anni il 19.08.1840 nel disboscare i terreni appena concessi in enfiteusi con l’ atto in data 04.08.1839.

– Vito ALTAVILLA fu Giuseppe è il primo accalappiacani nominato nel 1925

-il servizio ostetrico fu istituito dal 1912 con la levatrice Antonietta RICCIARDELLI GRASSI; prima il servizio era effettuato da PICOCO Maria Giuseppa deceduta il 22.07.1883 a 62 anni, la prima ad essere seppellita nel cimitero collaudato

– per l’ordine pubblico, nel 1885, (in San Michele si contavano 1400 abitati) al maestro elementare Giuseppe POMES fu affidata la delega di ufficiale di PS; l’ufficio distaccato di Polizia Municipale è autorizzato nel 1900 ed ubicato in largo Chiesa, in una casa a due piani di proprietà di Giovanni Parisi fu Angelo; mentre l’istituzione di una prima caserma dei carabinieri in via Dentice fu deliberata il 17.10.1914;

-l’ufficio postale è istituito dall’1 luglio 1907; il servizio telegrafico e telefonico invece è del 1924; quello del procacciato postale e trasporto dei cittadini, da e per San Vito, parte dall’08.05.1914 con omnibus a due cavalli gestito da Michele CAPPELLI. Si anticipava la prevenzione sanitaria poiché all’“art 6 del contratto del 18.05.1915 di rinnovo del servizio viene disposto: “è vietato fumare nella vettura”.

A proposito di norme contrattuali è interessante notare la precisione di un contratto di fitto di masseria del 1827: “Esso affittatore promette di non chiedere escomputo di merce da, per qualunque caso fortuito, divino, umano, raro, insolito, opinato ed inopinato e che mai sia stato solito accadere, rinunciando espressamente a detti casi fortuiti di cui sono stati da me notaio cerziorati”

-nel 1929 esiste una sola fontanina d’acqua potabile in via Francavilla (ora Duca D’Aosta angolo via Pisacane)

-nel novembre 1912 è istituita una sezione dello stato civile (Via Duca D’Aosta) e dal 1912 al 1917 è nominato delegato Pietro Rocco SANTORO

-l’illuminazione pubblica, nel 1880, è costituita da tre fanali a petrolio; quella elettrica sarà garantita dalla Società Elettrica Carovignese a partire dal 20.10.1924; nel contratto del 1880 si legge:, I tre lumi saranno accesi in tutte le ore in cui non vi sarà la luna, intendendovi assenza di luna, anche quando questa trovasi annuvolata. I lumi dovranno trovarsi accesi non più tardi di un’ora dopo il tramonto e non dovranno essere spenti prima di un’ora e mezza dall’uscita del sole.Il tutto per sei mesi all’anno;

-La costruzione della scuola elementare (progetto dell’ing. Salvatore Bernardini da Lecce) (con gli uffici comunali a piano terra e la scuola elementare al primo) ha inizio nel 1934. E’ inaugurata il 31.10.1937 .

Da quegli anni l’assetto urbanistico del comune ha preso l’aspetto attuale: la demolizione dì li curt, dell’ufficio postale, della chiesetta del principe e la contemporanea costruzione della scuola e della nuova chiesa di San Michele Arcangelo resero armonioso il centro del paese.

-Giuseppe SPINA è il primo commissario prefettizio che dall’08. 01.1944 sostituisce il podestà Angelo CERVELLERA, possidente di Latiano, che aveva amministrato il paese dal 1931

-il primo sindaco democraticamente eletto con le votazioni amministrative del 27 aprile 1946, per la lista: tre spighe di grano, è Giuseppe ROSMINDO

-Il 28.Mggio 1967 s’inaugura, in piazza Dante, il monumento “Gloria ai caduti-Pace per i popoli”voluto dall’amministrazione del Sindaco Francesco AZZARITO su progetto di Max BOSELLI da Lecce

-la chiesa della Madonna di Pompei nasce su terreno donato il 30.05.1927 ed è retta da don Donato SPINA; crollata negli anni ‘60, sarà ricostruita nel 2006 e riaperta al culto il 07.10.2008

Così tra una guerra mondiale e l’altra (57 caduti nella prima e 51nella seconda, con una medaglia  al valor militare assegnata a Giovanni FILOMENO); un’epidemia di colera (1886-87-88) e di vaiolo (1881 e1904), l’incendio degli uffici comunale del dicembre1943; il paese cresce, s’ingrandisce, si abbellisce e genera figli che gli danno lustro in campo artistico, professionale, culturale, militare ed economico.

Si costruiscono strade, monumenti, scuole, biblioteca e pinacoteca, giardini; si rifanno belle strade e piazze, l’economia si sviluppa con il commercio, l’artigianato, l’agricoltura, le attività turistiche alberghiere e ristoratrici. Piano, piano siamo diventati una delle più belle realtà della provincia e questo deve impegnarci nel continuare a valorizzare quel grande patrimonio storico-ambientale- culturale che in questi  anni siamo riusciti a conquistare.

C’è il rischio che i valori e le tradizioni vadano a scomparire e quindi s’impone la necessità del loro recupero anche con iniziative come queste che sono indispensabili per tramandare ai nostri figli l’amore per questo Paese.

. C’è ancora tanto da fare e questo dovrebbe essere il compito, l’obiettivo dei nostri amministratori, delle varie associazioni culturali, della scuola, prima che la modernità divori ogni altra residua memoria storica.

Termino con il pensiero di Vincenzo Palmisano,tratto dal suo spledido  “Storie”: UN PAESE SENZA MEMORIA E’ UN PAESE SENZA PROGETTO, CIOE’ SENZA FUTURO.

Sanmichelesalentino25ottobre2018edmondobellanova

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