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Sul cammino di Enea.

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7 risposte a archivio

  1. smemorato ha detto:

    angunnə a soretə

    ‘ngunn’a mametə

    Due espressioni ingiuriose del nostro dialetto che mi paiono assonanti con l’araba al-qalmun (la libidinosa) che è il nome dato alla vulva, molto stretta, della giovane vergine (da il giardino profumato, di muhammad an-nafzawi, edizione ES milano, 1992. pag. 77).

    Estratto dall’archivio e riproposto a causa di una ricerca di qualcuno su google.

  2. Mi dispiace, ma l’espressione cegliese credo venga direttamente dal latino. Anche da un termine orientale, se vuoi, ma molto distante da al-qalmun.
    Ciao
    Pietro Santo

  3. Pietro Palmisano ha detto:

    Solo per metafora l’espressione “ngunn’a sor’t oppure ngunn’a mam’t” potrebbe assonare con l’attributo persiano della Madre dello Scia, “La Divina Culla”, in latino “Divinae Cunae”, oppure se preferisci “divinae incunabulae”, ambedue termini difettivi di singolare, cunae e incunabulae.
    Metafora usata anche nella nostra religione, ma non c’entra col discorso in oggetto.
    Metafora che nobilita, e di molto molto, la lasciva, libidinosa, al-qalimata (aggettivo), vulva.
    Al-qalmun è invece sostantivo, lascivia, libidine.
    Nulla a che vedere con “luogo natio, nido, culla”, come, invece (in)”incunabulis sororis tuae”, (in)”cunis sororis tuae”, nobilissima espressione cegliese! Nel nido di tua sorella! Nella culla di tua madre!
    E poi dicono che il cegliese è volgare: ignoranti!
    C’è chi invece si entusiasma alle pietre del castello.
    Meglio queste facezie che pensare a Elsa e al suo Passera.
    Pietro Santo

    • smemorato ha detto:

      Tu chiamale, se vuoi, facezie…
      la semiologia non è uno scherzo, Giustiniano, ad esempio, affermò: nomina sunt (consequentia) rerum, sustanziando le parole. Infatti le parole “si pesano”, esse ci descrivono il mondo e l’anima. Che levità invece nel tuo argomentare di natura basica che sfuma nei sentimenti fra i massimi, il filiale e il fraterno. Può essere ed è più interessante il ragionamento semantico che spiega le cose, mentre la politica sembra piegarle.

  4. Mi hanno insegnato che le parole sono come dei corpi viventi, complessi, che si trasformano col tempo e nei luoghi, come le persone e le piante. Come le persone e le piante si fanno conoscere e studiare con affetto, fino nell’intimo, all’origine.
    Le parole di oggi sono mutate rispetto a quelle di ieri, ma ne conservano indelebile una traccia come il dna delle persone.
    Michele Altavilla è stato il mio professore di lettere alle Medie, dove si iniziò con la “rosa”,
    Jole Nobile Bernatowitch come una madre mi aggiunse anche il greco al Ginnasio.
    Poi non ne ricordo più.
    A questi due docenti-genitori devo quasi tutto.
    A te devo il piacere di farmeli ricordare.
    Pietro Santo

    • smemorato ha detto:

      Pochi, ma buoni maestri ci segnano e meritano il ricordo. Ricordo spontaneo che affiora alla prima occasione proprio a causa di quel segno. Mi è proprio piaciuto, questo nostro ragionamento all’ombra delle “carte d’archivio”.

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